Simone Fattori

SUONI NELL'ETERE

L’anno nel quale tutto parte è il 1960. Un anno che sarà uno spartiacque non solo, simbolicamente, per un nuovo decennio, ma anche un cambio netto di epoca per il nostro paese.

Il boom economico sta già facendo vedere i suoi effetti, tanto che l’anno si apre proprio con l’annuncio dell’assegnazione dell’Oscar delle monete, riconoscimento del Financial Times di Londra, alla lira quale moneta col maggiore apprezzamento sui mercati nell’anno precedente. La motivazione (la lira «si è affermata come una delle più forti del mondo a coronamento di una ripresa durata parecchi anni») è davvero il segno che la guerra e le sue macerie sono definitivamente alle spalle e si apre davanti agli italiani un futuro radioso. Certo, i ricordi sono ancora freschi (qualche personaggio dei film racconta un passato non troppo lontano in guerra, come in Altissima pressione, del 1965: «Sai che mi sarebbe piaciuto fare? La guerra partigiana. E non mi guardare a quella maniera, mica ti sto parlando delle crociate! Papà l’ha fatta e ne parla sempre. Io dopo un po’ mi stufo a sentirlo, però in certi momenti penso che doveva essere bello vivere così»), ma tutto sembra correre velocemente, compresi il cinema e la musica. Si sta affacciando alla ribalta una nuova generazione di artisti, registi, musicisti, autori e cantanti che romperà definitivamente con l’estetica dei propri padri e porterà sotto i riflettori, esattamente come sta accadendo già da qualche anno in America e nel resto del mondo occidentale, una categoria sociale e persino antropologica tutta nuova: i giovani.

 

La fotografia, o meglio la sequenza, di questa svolta epocale è racchiusa in uno dei film più famosi della storia del cinema italiano, che certo, ovviamente, è molto distante dai musicarelli, ma che pure esce nelle sale proprio nel marzo del 1960: La dolce vita di Federico Fellini. Nel film, a scompigliare il tutto sommato tranquillo e composto fluire di una serata al night arriva un giovane cantante, che, come un ciclone, si avventa sulla scena con il suo rock’n’roll: è Adriano Celentano, l’artista italiano in maggiore ascesa, alla testa comunque di un drappello molto folto di nuovi cantanti ispirati da generi diversi e quasi tutti d’importazione, e portatore di dirompente energia in ogni sua esibizione. In quei mesi (La dolce vita viene girato nel 1959) Celentano prende parte ad altri tre film che a buon diritto possiamo considerare i capofila del genere musicarello: I ragazzi del juke-box (1959), Juke-box – Urli d’amore (1959) e Urlatori alla sbarra (1960), oltre alla già citata partecipazione posticcia alla versione italiana di Go, Johnny, Go! nel 1959.

La dolce vita avrà un successo clamoroso e inaspettato, incassando oltre 2 miliardi di lire all’epoca (a fronte di 800 milioni di costo di produzione), guadagnerà quattro candidature e un premio agli Oscar, quello per i costumi di Piero Gherardi, oltre alla Palma d’oro al Festival di Cannes, e scatenerà polemiche politiche violentissime, con l’appena insediato governo Tambroni e la Chiesa cattolica a chiederne la censura e addirittura il ritiro dalle sale.

L’ascesa dei giovani, intesi come categoria anagrafica ma anche come nuova generazione di artisti (oltre al già citato Celentano, gli altri “urlatori” Little Tony, Tony Renis, Ricky Sanna (Gianco), Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Johnny Baldini, Roby Milione, Babette, Luna, Fiorella Giacon, Daina Mit e una giovanissima Mina) troverà nel musicarello la sua cifra espressiva, su misura propria e del pubblico popolare nella sua accezione più ampia.

Tratto da Musicarelli, l’Italia degli anni ’60 nei film musicali

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