Simone Fattori

SUONI NELL'ETERE

Festival di Sanremo, 1961. Tra i tanti cantanti in gara della nuova generazione, tra il Celentano di 24mila baci e la Mina di Le mille bolle blu, c’è un giovane cantautore della scuola genovese. E’ un esordiente, ma non certo alle prime armi. Viene da due anni di straordinario successo, e da due canzoni che sono ancora oggi nella storia della musica italiana: Arrivederci e Il nostro concerto.

Si chiama Umberto Bindi, è uno straordinario pianista e un grande compositore. Per le parole si fa aiutare da un suo concittadino, Giorgio Calabrese. Dovrebbe essere il Festival della sua consacrazione, e la canzone che porta in gara, Non mi dire chi sei, ha tutte le carte in regola per continuare la collana di successi. La sua esibizione è senza sbavature, all’altezza della situazione. Tuttavia un particolare attira l’attenzione degli spettatori e, soprattutto, degli addetti ai lavori: un vistoso anello.

Da quel momento quell’insignificante vezzo diventa l’unico argomento di discussione, a bassa voce, tra gli addetti ai lavori. Per tutti quell’anello è la prova di un pettegolezzo che circola da qualche mese: Umberto Bindi è omosessuale.

Tanto basta, nella bacchettona Italia di inizio anni ’60, per sbarrare a Bindi le porte della radio e della televisione, e a spingerlo in una inesorabile discesa verso l’oblio agevolata anche dal suo carattere schivo e taciturno.

Bindi continuerà a scrivere canzoni – alcune, come Il mio mondo, con le parole di Gino Paoli, e La musica è finita, con le parole di Franco Califano – saranno memorabili. Alcune lo saranno meno, ma comunque tutte di ottima fattura, così come i concerti che Bindi continuerà a tenere in locali sempre più piccoli in giro per l’Italia. Morirà quasi in povertà, nel 2002, dopo vari appelli pubblici per assegnargli il vitalizio della Legge Bacchelli, che arriverà troppo tardi. 

Da questa incredibile storia parte un bel libro, che vuole intanto essere un omaggio a Bindi. E’ un libro necessario. Si intitola proprio L’anello di Bindi – Canzoni e cultura omosessuale in Italia dal 1960 ad oggi, e lo ha scritto, sorretto da una preziosa e dettagliata opera di documentazione, il critico musicale Ferdinando Molteni. L’autore raccoglie il viaggio parallelo della canzone italiana e della cultura e delle tematiche omosessuali in essa contenute, con un percorso che partendo dalla vicenda umana e artistica di Bindi si conclude idealmente con il coming out di Tiziano Ferro.

Dentro si snodano le vicende di decine di artisti, alcuni dichiaratamente omosessuali, altri rimasti sempre nell’ambiguità. Ne scaturisce un lento e travagliato percorso verso l’emancipazione, costellato anche da artisti eterosessuali che, talvolta in tono ironico se non addirittura canzonatorio (ad esempio, Elio e le Storie Tese) talvolta diventando personaggi iconici per la comunità LGBTQ+ (come Raffaella Carrà), rientrano a buon diritto in questa storia.

Molteni si ferma dunque alle pubbliche, seppur sofferte, confessioni di Tiziano Ferro del 2011, che hanno trovato un’accoglienza completamente opposta a quella che esattamente cinquant’anni prima trovò l’anello di Bindi. Evita di analizzare con lo stesso rigore la scena odierna, Molteni, e il perchè di questa scelta lo spiegano le sue stesse parole: “Oggi Sanremo ospita decine di artisti che con l’estetica gay giocano, talvolta in modo parodistico e, senza neppure rendersene conto, sbeffeggiano e umiliano quanti hanno lottato perché le loro paillettes fossero bene accette sul palcoscenico più reazionario e retrivo d’Italia.”

 

 

 

 

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