La scorsa estate ho letto un libro che mi ha molto colpito. Ricordo che ne parlavo con chiunque, alla prima occasione. Lo avevo conosciuto perché citato in qualche altro libro.E’ stata una lettura impressionante, ma al contempo consolante. Perché già dal titolo il libro toglie spazio ad ogni rimpianto: Il mondo dopo di noi.
Cercando di tenere a freno il mio cinismo proverò a spiegare perché questo libro è adattissimo a questi giorni ansiogeni e apocalittici. Innanzitutto il suo autore, il giornalista americano Alan Weisman parte da una domanda originale: cosa succederà al mondo quando il genere umano sarà completamente estinto? Non si chiede il perché dell’estinzione degli uomini in quanto non è il fatto importante. Del resto il pianeta ha circa 4 miliardi e mezzo di anni e le prime forme di vita risalgono a meno di 4 miliardi di anni. Quindi ha vissuto tranquillo senza forme di vita per 500 milioni di anni. L’uomo compare circa due milioni e mezzo di anni fa, dopo che centinaia di migliaia di specie animali e vegetali sono comparse e si sono estinte. Dunque mettiamo un punto fermo: in un ipotetico libro della storia del pianeta composto da alcune migliaia di pagine, noi occuperemmo solo poche righe. Insomma, il pianeta può fare tranquillamente a meno di noi.
Weisman, in maniera molto documentata, prova a ricostruire le conseguenze dell’assenza dell’uomo sul pianeta. Dopo una settimana di disastri, con incendi ed esplosioni nucleari ed un pianeta che toccherebbe il suo apice di inquinamento, via via gli elementi riprenderebbero possesso dei territori: le acque riempirebbero le metropolitane delle grandi città, i grandi canali artificiali sarebbero via via ricoperti dalla terra, le costruzioni umane sarebbero distrutte e seppellite dalla vegetazione in un centinaio di anni e dopo cinquemila anni, un’enormità per noi ma un battito di ciglia per la storia del pianeta, non ci sarebbero più tracce del passaggio dell’uomo.
Del resto, luoghi che possono essere d’esempio esistono già: la Bialowieza Puszcza, l’ultima foresta primordiale che ancora sopravvive tra Polonia e Bielorussia, la striscia di frontiera tra Corea del Nord e Corea del Sud, la zona intorno alla centrale di Chernobyl, in Ucraina. Tutti luoghi liberi dalla presenza dell’uomo, dove la vegetazione ha ripreso possesso del territorio e sono tornate specie animali che si credevano estinte.
Sulla base di questa lettura matùra una certezza, ovvero che il vero virus del pianeta è l’uomo. Il suo approccio avido e arrogante nei confronti della natura ha sempre provocato reazioni, tra le quali non è escluso che a breve la scienza non inserisca anche questo e altri virus che potrebbero colpire il genere umano. L’augurio, flebile per la verità, è che tutto questo ci porti a modificale lo stile di vita planetario e a ricomporre un equilibrio perduto. Sulle cose da fare è già disponibile un’ampia letteratura. Dalla limitazione del consumo di carne (perchè, fisicamente, presto non ci sarà più posto per ospitare tutti gli animali da allevamento necessari ai fabbisogni attuali e futuri), all’abbandono dei carburanti fossili, fino ad una moratoria planetaria di alcune decine di anni sul consumo di suolo per nuove costruzioni.
E infine, perché qualcuno lo dovrà pur dire prima o poi, l’uomo dovrà riflettere seriamente sulla moltiplicazione esponenziale della sua specie: siamo troppi, e se l’umanità non provvederà da se, in barba alla propaganda dei nazionalismi e ai diktat delle religioni, ad avviare un severo controllo delle nascite, provvederà la natura.
Il libro di Alan Weisman ce lo dice chiaramente: la natura, prima o poi, riesce a ristabilire l’equilibrio. E lo può fare anche senza di noi.
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